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La Scuola in Ospedale: un'ancora di salvezza per gli studenti ricoverati

Si riporta di seguito l'articolo di Ester Trevisan apparso su Officina Gilda.

L’insegnamento in ospedale è una libera scelta da parte dei docenti, ci si trova a lavorare in un ambiente di sofferenza ma per i giovani degenti lo studio è l’unico momento di svago e di normalità che li fa sentire meno estranei.

"Che studiare faccia bene all’anima e al corpo, e quanto sia importante lo studio nella vita dei
ragazzi, lo si capisce pienamente quando si insegna tra le corsie di un ospedale ancor più che nelle aule di scuola”. Il valore dell’istruzione pubblica statale, come spiegano le parole di Loris Farini, docente di Inglese e Francese presso l’istituto riabilitativo di Montecatone a Imola, trova una sua declinazione ottimale nella SIO (Scuola in ospedale), sigla che, nel mare magnum degli acronimi in cui navigano gli insegnanti italiani, rappresenta un’ancora di salvezza per tutti gli studenti ricoverati e, dunque, impossibilitati a frequentare le lezioni insieme con i compagni di classe. “La pandemia - spiega Farini, da tre anni in servizio come docente ospedaliero - ha ricordato a tutti noi come il diritto alla salute e quello all’istruzione siano entrambi diritti di cittadinanza e indissolubili l’uno dall’altro. E la scuola in ospedale, in questo
senso, dimostra chiaramente come questi due capisaldi della nostra Costituzione possano - e
debbano - convivere”.
“L’insegnamento in ospedale è una libera scelta da parte dei docenti, - dice Farini - si tratta di un’esperienza estremamente arricchente ma allo stesso tempo emotivamente molto impegnativa perché ci si trova a lavorare in un ambiente di sofferenza dove ogni giorno bisogna fare i conti con il dolore e la morte. In questo contesto, per i giovani degenti lo studio è
l’unico momento di svago e di normalità che li fa sentire meno estranei. La scuola in ospedale è
un servizio pubblico che garantisce la continuità didattica e consente, pur nei limiti imposti dalle condizioni cliniche dei pazienti, di mantenere vivo il legame con la propria scuola”.
L’organizzazione della Sio in tutta Italia è dettata da una normativa nazionale. Quando in ospedale arrivano come degenti ragazzi e ragazze in età scolare, da quella dell’infanzia alla
secondaria di secondo grado, si atti-va un protocollo socio sanitario in base al quale gli operatori sanitari informano le famiglie che nella struttura ospedaliera è disponibile l’attività didattica. Per seguire le lezioni, bisogna compilare un modulo di iscrizione che serve all’ospedale e alla scuola di provenienza dei ragazzi. Subito si attiva il dialogo a livello didattico tra i docenti ospedalieri e quelli a scuola per concordare un programma di studio essenziale, considerato che il monte ore non è lo stesso della scuola ordinaria, perché i degenti frequentano al massimo due ore di lezione al giorno compatibilmente con le terapie e le cure a cui devono sottoporsi e alle condizioni di salute. Le lezioni sono individuali e basate su un piano didattico personalizzato.
“Insegnare in ospedale - racconta Farini - è una sfida stimolante che consente di applicare
concretamente tutte le nozioni pedagogiche apprese durante i corsi di aggiornamento. Passione e professionalità sono parole d’ordine per noi che ci sentiamo orgogliosi di svolgere questa professione della cui funzione comprendiamo appieno la crucialità”.
L’I.I.S. “Bartolomeo Scappi” di Castel San Pietro Terme è la scuola territoriale referente per i corsi d’istruzione secondaria di 2° grado istituiti presso le più importanti strutture ospedaliere della provincia di Bologna, in particolare gli Istituti Ortopedici Rizzoli (dall’a.s. 1997-98), il Policlinico Sant’Orsola-Malpighi (dall’a.s. 2000-01) e il Montecatone Rehabilitation Institute di Imola (dall’a.s. 2004-05).
“La storia della scuola in ospedale in Emilia Romagna - spiega la professoressa Daniela
Loreti, coordinatrice a Montecatone dal 2006 - inizia con Giuliana Rossetti, dirigente dell’alberghiero di Castel San Pietro, che nel 1998 raccolse l’appello di un ragazzo in terapia oncologica desideroso di continuare a frequentare la scuola e convinse il ministero dell’Istruzione a istituire la prima sezione della Sio al Rizzoli. Poi l’esperienza si allargò anche alla scuola primaria e alla secondaria di primo grado con il caso di Pompeo Barbieri, alunno sopravvissuto al crollo della scuola di San Giuliano di Puglia, in Molise, provocato dal terremoto del 2002. Pompeo rimase sepolto dalle macerie e perse l’uso delle gambe. Adesso, anche grazie al sostegno della scuola in ospedale, è diventato campione paralimpico di nuoto”.
“La Sio non è scuola di contenuti, ma di valori nei saperi, - sottolinea la professoressa Loreti - i saperi diventano pretesti per ricollegare i ragazzi alla vita ordinaria che conducevano prima del ricovero”.
Fino a 3-4 anni fa, la scuola in ospedale faticava nell’ottenere il riconoscimento di scuola a tutti gli effetti, ma grazie ad alcuni dirigenti del ministero, si è riusciti a uscire da questa zona d’ombra con l’istituzione di una scuola polo nazionale a Torino e l’emanazione delle linee guida sia sull’istruzione domiciliare che su quella in ospedale. Resta ancora da lavorare sulla formazione, alla quale non tutte le scuole partecipano, e sulla carenza di organico. “Servirebbe una figura istituzionalizzata come quella dell’insegnante di sostegno e un concorso apposito”, conclude Loreti.

Allegati

Articolo SIO_PROFESSIONE DOCENTE_NOVEMBRE.pdf